< Cortine di Ferro: aprile 2007

Cortine di Ferro

Poesia/ E’ il mondo l’umanità/ La propria vita/ (Ungaretti, COMMIATO; da L’Allegria, 1916)

lunedì, aprile 30, 2007

ogni parola è un urto


Ogni parola è un urto

Uno schianto sordo

Contro i baluardi dell’anima

La cui eco va e torna

Come un ariete

A disperare la poca resistenza

A spazientirla di sconfitta

Pur di dare tregua al corpo.


Mi lacero in disparte,

Mi lascio ammansire dal dolore.

Stanco dell’odore fetido del rifugio

E del sudore,

Che va ossidando anche il ricordo

Di uno scintillante usbergo.


Ogni parola è un gelido silenzio

Che mi lascia attonito ad

Assiderare nei luoghi del tuo sguardo;


Alle porte del tuo dolore

Mi accascio e grido

Di poterti nutrire ancora.


Ogni parola è un’ostia.

Carne

Offerta in sacrificio

La mia carne.

Tremula al gelo

Del tuo respiro

Distante quanto una confidenza.


Privata livida

Carne che svapora

Attraverso le Apoteosi

In Echi di Eternità.

domenica, aprile 29, 2007

Ubax Cristina Ali-Farah, Madre Piccola


Amo condividere le cose buone, specie quando si tratta delle migliori!




Ubax Cristina Ali-Farah, Madre Piccola, Frassinelli 2007








In questo link troverete un estratto del suo intervento al V° seminario italiano degli scrittori e delle scrittrici migranti in cui Cristina da lettura di un suo racconto (Madre Piccola), omonimo della sua opera prima.

Sto terminando in questi giorni la lettura di Madre Piccola, Cris ed ho già un'infinità di emozioni da tradurti presto su queste pagine!











Barni e Domenica sono cresciute insieme a Mogadiscio, bambine spensierate e felici in un mondo compatto di affetti familiari e radici comuni. Fino a a quando Domenica è partita con la madre per l'Italia. Il ritorno a Mogadiscio è un momento fatale: lo scoppio della guerra civile conincide con il trasferimento di Barni a Roma e per Domenica segna un decennio di smarrimento.

sabato, aprile 14, 2007

Leniency




Lo strazio è un fiore questa sera

che veglia il mio corpo dall’alto

di una mensola adiacente.


I petali vermigli

a centinaia adunano

i lesti barbagli di un massacro.


"Popoli camminanti, tradizione orale, immigrazione ed esilio"

La tematica della serata, non nego, che dal principio mi ha un po' spaventato.
La mia condizione la vedevo forse come distante da certe problematiche, che legavo ad un contesto strettamente geo-politico per un eccesso di miopia.

"Popoli camminanti, tradizione orale, immigrazione ed esilio" sono prismi attraverso cui si rivela una poliedria di significati e in tal senso ho cercato di inserire la mia partecipazione.

L'esilio come stazionamento apotropaico, "canto" della memoria o luogo mistico della propria creatività.
L'esilio come astrazione (abstrahere=allontanare).

Poeti d'esilio sono coloro, che ermeticamente si (in)cantano nella parola, scarnificandola, svuotandola di umanità, paradossalmente esiliandola nel luogo dell'origine, in quel Verbo, che SOLO era in principio.

(In)canto apotropaico vuol essere proprio un "m'accuse" in tal senso.

Un diverso modo di intendere l'esilio della parola e lo "stare ai margini" di certo poetare che è solo conseguenza della ricerca di un'identità elevata o soltanto elucubrata, in cui si sostanzia un ritorno atavico a certa cultura misterica e iniziatica, che sottrae "consolazione" alla parola, e con essa un naturale istinto alla relazione e alla ricerca dell'altro.

Isolamento, esilio volontario ma pur sempre esilio, emarginazione e pur tuttavia "contaminazione", necessaria alla vita, sì come il Verbo contaminandosi con la carne si è fatto conforto e redenzione.



(IN)CANTO APOTROPAICO


E sia.

Hai avuto tempo per l’ardore

Quando ancora bruciavi la terra

Con lo sguardo, assetandola

Tergendone gli umori sanguinolenti

Del Legno, distillando

Impre(di)cato il Verbo in

Liturgia di Incantesimi.


Senza più lo scandalo della Carne

Lacerata e offesa

La parola resta poco più che un rito

Apotropaico e misterico;

Ora scrivi ai margini di un foglio,

Didascalico

Racconti di immagini;

Ora sei a(c)corto di parole.

Siccome infamie

Si tacciono o si confidano

In gravoso esodo.


Hai avuto tempo

Financo per la mansuetudine

Quando ancora strenuo

La carne in brani ricucivi

Intorno all’osso, il candore

Sempre, ripetutamente

(Ri)velandone.


Esiliato dalla carne

Il Verbo

E’ tornato alla Casa del Padre

Inerpicato

Inferto

Votato

Ad Antico Testamento.


Corpo mistico,

Particola

Offerta in sacrificio

Alla mensa della vanità?

E sia!


Chi sei ora?

Che funzione hai?


(inedita)

venerdì, aprile 13, 2007

Presentazione "Cortine di Ferro".

Pubblico di seguito alcuni links ad estratti video dalla presentazione del libro, occorsa a Moscufo (Pe) all'interno della rassegna letteraria "il bello dell'arte".

1. Incantesimo



2. Jimmy Page (grazie Assunta!!!)





"Il bello dell'arte"


Prosegue la rassegna moscufese alla scoperta della “creatività sommersa” nel territorio cittadino. In scaletta l’incontro con Alessandro Vella, ventottenne, autore della silloge poetica “Cortine di Ferro” presentata nella serata del 29 dicembre all’attenzione di una platea vivace e coinvolta.

E’ tempo di bilanci per questa prima edizione, che incassa successi e già guarda al futuro; bilanci che attengono soprattutto al dato esperienziale dei vissuti dei protagonisti che via via sono andati raccontandosi, inducendo pertanto l’interrogativo, che dà l’avvio al dibattito con l’autore, circa la necessarietà di “emigrare” dal contesto urbano moscufese per potersi realizzare come individui e soggetti attivi, dando voce alla creatività e alle attitudini professionali proprie a ciascuno.

L’autore si sofferma sul ruolo dell’interazione tra sensazioni, attitudini che si sente di poter spendere e opportunità offerte dal territorio, sottolineando come la scelta di allontanarsi dal paese natio non sia predeterminata all’urgenza creativa ma solo un effetto della stessa.

L’esperienza di “Portico 47”, laboratorio poetico cui A. Vella prende parte a Roma, è una felice metafora esplicativa attraverso cui l’autore è riuscito a manifestare la sua esigenza di prossimità alle diversità e all’altro in un contesto di multiculturalità e pluralismo tali, che solo una metropoli è in grado di contenere ed esprimere.

Il piano delle considerazioni si da corpo e sostanza attraverso un viaggio intenso e partecipato a monte delle “Cortine” e a ridosso delle stesse, nel racconto personalissimo di pagine di vita scritte a quattro mani con l’adolescenza, ripercorsa nei suoi tratti salienti fino alla fonte stessa dell’urgenza poetica, nella ricerca ossimorica di una parola capace di epifanie e latenze, di apparizioni e nascondimenti, “parola che (ri)vela –suggerisce l’autore- capace, cioè, di velare… in termini!”.

“Cortine di Ferro” è un rifiuto della parola stessa, intesa quale elemento misterico e mistificante, asfittica per un’adolescenza timida e fremente, capace di raccontarsi ma in una maniera tanto intima da coprirsi, in realtà.

L’indagine dell’altro nella relazione, il desiderio di manifestarsi. E la parola, che dovrebbe farsi tramite, veicolo, difetta venendo meno alla “convenzione”, tradendo le aspettative, perducendo l’individuo a una diversa logica fenomenica secondo cui l’atto (poetico) non rivela l’uomo ma si fa, anzi, coltre, tegumento, in sintesi: negazione, nell’esperienza di sottrarsi all’altro rifugiandosi in una solitudine, che non fa male se addiviene a “luogo mistico” della propria creatività.

I diversi interventi in sala segnalano una viva curiosità intorno alle problematiche esposte dando piena conferma di quell’universalità di cui è capace il verso poetico, al di là della mera cognizione di senso, nelle reazioni alchemiche tra le parole e le suggestioni che pur riescono a disinnescare nei vissuti con cui interagiscono: lasciarsi percepire, più che lasciarsi comprendere, in una dinamica di approssimazioni giocate sul piano variabile della sinestesia.

La parola oltre il suo significato, la parola oltre la sua stessa appartenenza linguistica: la parola si fa “fonema” nell’esperienza simbolistico-espressionista, che ha giocato un ruolo fondamentale nella formazione di A. Vella, e “il fonema –dice l’autore- ha quella componente di “fonos”, che è suono e che crea un’attenzione incredibile intorno a tutto ciò che è in grado di conferire un dato di musicalità e ritmicità all’elemento poetico”.

E allora, al pari della musica che è capace di solleticare l’emotività anche di chi non è in grado di leggere un pentagramma, la poesia può “percepirsi”, entrare in risonanza col vissuto di ognuno, in un gioco di sensazioni (molto più che di senso!) che non ha bisogno di vocabolari e parafrasi.