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Cortine di Ferro

Poesia/ E’ il mondo l’umanità/ La propria vita/ (Ungaretti, COMMIATO; da L’Allegria, 1916)

sabato, aprile 14, 2007

Leniency




Lo strazio è un fiore questa sera

che veglia il mio corpo dall’alto

di una mensola adiacente.


I petali vermigli

a centinaia adunano

i lesti barbagli di un massacro.


3 Comments:

Anonymous Anonimo said...

Post non-haiku.
Disporre versi ordinati, disporre gli effetti e gli affetti, disporre forse che sia esporre... a volte sarebbe necessario tagliarsi un pò le vene del tutti-i-giorni per lasciarsi sanguinare fuori qualcosa. Amare che sia conoscere, amare è il momento in cui mi conosco, senza avere la necessità di far conoscere, sarà che amare è il sangue delle vene.
In questi periodi soffro di incontinenza, non riesco a tenere in me il contrasto tra le mie emozioni e l'incarno nelle persone che mi sono accanto. Vorrei fuggire dalla tranquilla angoscia che scorre in tutti i giorni della sicurezza, ma ho radici e non ali.
Lo strazio è il fiore, in alto, nel vaso, sulla mensola. Lo strazio sono io, non so trovare l'armonia disponendo i miei fiori più belli in poesia, ma nemmeno nella prosa della vita quotidiana.
Scusa il viaggio introspettivo poco semantico e sanguinante... m'ha preso così oggi.

a.doinel-Paolo

6:21 PM  
Blogger @lex said...

@ a.doinel-Paolo

Non so veramente rappresentarti la mia gratitudine per questo moto d’animo di cui hai inteso farmi dono, e che, giorno dopo giorno, mi coinvolge lento come una marea. Questi sono per me giorni stanchi di parole, che si confondono in orbite vorticose intorno al groviglio di insoddisfazione… la parola che non esprime, la parola pneumatica che addensa significati nel poco spazio di un significante, la parola che non es-plica, la parola che im-prime, misera concrezione di un senso ormai fossile, cui occhi immaginifici regalano “forme”. Mi lascio rapire dalla suggestione quando ho voglia di squassarmi il petto, mi lascio ammansire dalle consuetudini ed ogni parola che saturo di senso, soffoca in silenzio. E più amo e più tutto ha un senso e più soffoca in silenzio.
Dove si è incarnato oggi lo strazio, in quale altra pro-iezione l’avrò oggettivato, in quale altra deiezione es-orcizzato? Eccola la mia incontinenza!
Lo strazio non sono io, lo strazio è fuori di me… eccola la mia tracotanza!
Ma vi è davvero una qualche liberazione nel contrarre la più ampia prosa del quotidiano tra le gole impervie dei versi di una poesia? Se solo avessi la forza di far cessare l’assedio, spalancherei le porte della città, dissolvendomi in una prosa senza fine!
Il mio “disporre” è, in fondo, uno stare in battaglia, dove “esporre” è un gesto di coraggio o di follia.
Rob Brezsny, il nostro caro Rob, mi direbbe qualcosa del tipo che le mie erinni umorali travalicano i recinti del mio abituale contegno; ma tutto è così denso in questi giorni nella testa e nel cuore, tutto è così ostruito, tutto mi sembra così atrocemente… impertinente!
Ho riletto anch’io con occhi nuovi i miei versi, li ho riletti con quel nocciolo di indulgenza sopita e latente con cui li avevo scritti e che più di ogni “forma” li rappresenta. Ho voluto così nuovamente battezzarli, per dare rilievo a quel pensiero nascosto che ancora mi ostinavo a tenere in ombra: che sia il mio la simbolico a questo nuovo periodo di esternazioni e costernazioni!
Ti abbraccio fraternamente.

1:41 PM  
Blogger @lex said...

Un dono sublime di poesia, mezzo espressivo di arcane esperienze contemplative. Il supremo stato mistico, possibile in terra, è qui analizzato e descritto con tanta verità di espressione da sembrare un racconto autobiografico...


IN UNA NOTTE OSCURA

1. In una notte oscura,
con ansie, dal mio amor tutta infiammata,
oh, sorte fortunata!,
uscii, né fui notata,
stando la mia casa al sonno abbandonata.



2. Al buio e più sicura,
per la segreta scala, travestita,
oh, sorte fortunata!,
al buio e ben celata,
stando la mia casa al sonno abbandonata.

3. Nella gioiosa notte,
in segreto, senza esser veduta,
senza veder cosa,
né altra luce o guida avea
fuor quella che in cuor mi ardea.

4. E questa mi guidava,
più sicura del sole a mezzogiorno,
là dove mi aspettava
chi ben io conoscea,
in un luogo ove nessuno si vedea.

5. Notte che mi guidasti,
oh, notte più dell’alba compiacente!
Oh, notte che riunisti
l’Amato con l’amata,
amata nell’Amato trasformata!

6. Sul mio petto fiorito,
che intatto sol per lui tenea serbato,
là si posò addormentato
ed io lo accarezzavo,
e la chioma dei cedri ei ventilava.

7. La brezza d’alte cime,
allor che i suoi capelli discioglievo,
con la sua mano leggera
il collo mio feriva
e tutti i sensi mie in estasi rapiva.

8. Là giacqui, mi dimenticai,
il volto sull’Amato reclinai,
tutto finì e posai,
lasciando ogni pensier
tra i gigli perdersi obliato.

Juan de la Cruz, Salita del Monte carmelo, 1584 ss.

2:39 PM  

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